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Casa e Ambiente

Smart working: chi paga internet, luce e buoni pasto?

Oggi lo smart working, anche nel post pandemia, sta diventando sempre più diffuso sia nelle aziende private sia in quelle pubbliche. Uno dei problemi però è che in termini normativi non ci sono ancora indicazioni sulle spese domestiche in caso di smart working.

Infatti, anche se lo smart working presenta delle ottime opportunità e vantaggi in termini di tempo, di conciliazione tra la vita privata e il lavoro, benessere generale, abbandono dell’uso eccessivo dell’auto o dei mezzi pubblici, bisogna considerare l’aumento delle spese domestiche.

Il lavoratore che opera in smart working risparmia in termini di costi per il tragitto tra casa e lavoro, ma ha un aumento rilevante per quanto riguarda le utenze domestiche come: luce, connessione a internet, gas.

Ma non solo, deve dotarsi anche di strumenti di lavoro come: PC, scrivania e sedia ergonomica, telecamera, materiale d’ufficio ecc…

Chi deve pagare luce, gas, internet: il datore di lavoro o il dipendente?

Quando si fa smart working dunque ci si chiede se dovrebbe essere il datore di lavoro a pagare luce, gas, internet oppure il dipendente.

Come anticipato, non esiste nessuna legge che attualmente impone al datore di lavoro il pagamento di una maggiorazione oppure di un incremento dello stipendio o di un rimborso per le spese.

Questo vuol dire che le spese extra che si registrano all’interno della propria abitazione in caso di smart working sono a carico del lavoratore, a meno che non sia il datore di lavoro a scegliere di offrire come benefit il pagamento di una somma aggiuntiva che si possa usare come rimborso spese.

Sicuramente tra tutte le spese da sostenere e per le quali richiedere un eventuale rimborso se il datore di lavoro è concorde, internet è il più semplice: le offerte adsl presenti sul mercato sono davvero molte e permettono di ottenere una buona connessione ad internet a prezzi ottimali e soprattutto facilmente documentabili.

Dunque: il lavoratore può accordarsi con il datore di lavoro per ottenere eventualmente una somma in cambio delle spese che derivano da internet, luce, gas con una tantum mensile che può essere strutturata con una media da parte di entrambi.

L’inesistenza di un obbligo giuridico, comunque, rende sempre più complesso riuscire a ottenere questo bonus soprattutto per quanto riguarda i contratti preesistenti.

Più semplice invece concordare un rimborso spese per i nuovi contratti di lavoro in cui è previsto lo smart working.

A chi spettano i buoni pasto?

Come funziona invece per i buoni pasto? I buoni pasto in genere vengono forniti dalle aziende pubbliche e private ai dipendenti al fine di dar loro un compenso che copra le spese necessarie a pranzare fuori casa oppure in mensa.

I buoni pasto sono inseriti all’interno degli accordi sindacali e dipende dunque, dal CCNL la previsione di un obbligo per l’erogazione di questi a coloro che lavorano completamente o parzialmente in smart working.

Una segnalazione interessante è quella della sentenza del Tribunale di Venezia che ha sottolineato come: i buoni pasto non abbiano una specifica natura, ma sono un’agevolazione dal carattere assistenziale che sono collegate al rapporto di lavoro con un nesso occasionale.

Il mancato riconoscimento del buoni pasto nelle giornate di lavoro in smart working, quindi, non è una violazione del principio di parità con i lavoratori che operano in presenza.

Questo era già stato segnalato anche dalla Cassazione e successivamente è stato sottolineato anche dall’Agenzia delle Entrate. Questo vuol dire che l’azienda volendo può negare l’emissione dei buoni pasto nel caso in cui il lavoratore operi in smart working.

In conclusione: attualmente la mancanza di normative specifiche per lo smart working non prevedono una linea comune, questo vuol dire che eventuali rimborsi e buoni pasto da erogare sono decisioni a carico dell’azienda.

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